Itinerario storico "della Liberazione"

I luoghi della Resistenza
I LUOGHI DELLA RESISTENZA

Si vogliono indicare i luoghi del territorio comunale in cui si sono svolti episodi significativi nel periodo della Resistenza al Fascismo, concluso con i giorni della Liberazione nell’aprile del 1945.
Per ogni luogo si indica, in breve, il fatto o il protagonista con una didascalia utilizzabile a sostegno di una fotografia dello stato attuale. A richiesta, Il Rachinaldo potrebbe fornire foto d’epoca.


01 Municipio, via Roma 36 e piazza Daccò

Il 15 novembre 1944 il Municipio e l’area che lo divide dall’edificio delle Scuole Elementari sono stati occupati da un reparto dell’esercito tedesco denominato KIP 688, al comando del maggiore Angstmann. Il reparto si arrese il 26 aprile ad una delegazione composta dal comunista Felice Rosti, dal coadiutore don Giovanni Zoia e da una terza persona di cui non è rimasta memoria del nome. I Tedeschi si tennero le armi e attesero l’arrivo del primo reparto alleato a cui si consegnarono il 28 aprile per essere inviati in prigionia

02 Cortile di via Roma 128

All’arrivo dei Tedeschi, il contingente della Guardia Nazionale Repubblicana composto da una decina di uomini, dovette lasciare il Municipio in cui aveva posto la propria caserma e adattare a propria sede il salone che si trovava in questo cortile (abbattuto nel 2006). Qui i Fascisti si arresero il 26 aprile a Mario Ranfi, un partigiano locale che si presentò da solo e li lasciò liberi di tornare alle proprie case. Nei giorni seguenti il salone (che in seguito fu utilizzato come cinema) fu sede del Distaccamento locale della 169ª Brigata Garibaldi e vi si tennero i processi popolari ad alcuni esponenti locali del Partito Fascista Repubblicano.

03 Negozio al civico 154 di via Roma

Qui aveva bottega di orologiaio Carlo Francia, partigiano e comunista, che aveva lasciato il lavoro in fabbrica per allestire questo laboratorio che sarebbe servito di copertura per tenere in collegamento i partigiani della città con quelli che operavano in quest’area. Nel negozio, durante gli orari di apertura, avvenivano consegne e ritiro di materiale propagandistico, giornali clandestini, armi e macchine da scrivere, preziose per redigere documenti e volantini. Nelle ore serali vi si incontravano partigiani come Riccardo Chiodini di Ozzero e Piero Francini di Milano.

04 Cortile al civico 156 di via Roma

Il 23 settembre 1944 tutta Gaggiano sta col naso per aria, affascinata da un insolito spettacolo: un aereo che attraversa il cielo sereno lasciando dietro di sé una scia di fumo. Questione di minuti, poi l’apparecchio sparisce alla vista: è precipitato. Molti lasciano il paese, chi a piedi e chi in bicicletta, per vedere da vicino dov’è finito. Arriveranno sul posto anche i militi in camicia nera, giusto per trovare i cadaveri dell’equipaggio. Ma non tutti gli aviatori sono morti. Due di loro, scesi col paracadute tra Noviglio e Tainate, sono stati soccorsi dal giovane Egidio Paghini che poi, nottetempo, li ha portati in paese e nascosti in questo cortile. Mentre la Brigata Nera li cerca dappertutto, stanno qui al sicuro per parecchi giorni. Alla fine il Paghini, che ha trovato l’aiuto dell’amico Giuseppe Giavenni, dopo averli rivestiti di abiti borghesi e avere tentato invano di affidarli a qualcuno in città che potesse portarli in salvo, s’inventa un viaggio fino al confine svizzero: in bicicletta. I due giovani di Gaggiano e i due aviatori americani arrivano fino a Cernobbio. E lì si lasciano. A Gaggiano tornano due coraggiosi con quattro biciclette. Gli Americani passano il confine e daranno loro notizie a guerra finita: è andato tutto bene.
05 Cortile al civico 2 di via Beno de’ Gozzadini
Nei giorni successivi all’8 settembre, quando dopo l’armistizio l’esercito rimasto senza ordini si è sfasciato, i treni della linea Milano-Mortara erano pieni di soldati che cercavano di tornare ai loro paesi. E le stazioni, a partire da quella di Abbiategrasso, pullulavano di Tedeschi pronti a catturarli e mandarli ai campi di prigionia. In questo cortile abitava Carlo Rossignoli, materassaio. Un medico milanese, il dottor Franco Luckenbach, che in quei mesi esercitava la professione a Gaggiano, gli portava in casa tutti i soldati che riusciva a fermare, salendo sui convogli durante la sosta alla nostra stazione. Dormivano lì e la mattina un figlio del materassaio, poco più che un ragazzo, Udilio Rossignoli, li accompagnava per strade secondarie oltre le stazioni sorvegliate dai militari.
Sempre in casa dei Rossignoli passarono la notte sul 25 aprile 1945 dei parigtiani arrivati dall’Oltrepo e diretti a Milano: dormirono sul pavimento, con le armi a portata di mano e l’indomani, camminando sull’alzaia, arrivarono in città.

06 Ponte Nuovo e Ponte Vecchio

Alla metà di aprile il maggiore Angstmann diede l’ordine di minare le scuole, palazzo Marino e i due ponti. Fece sapere che, al minimo gesto ostile verso i suoi uomini, avrebbe fatto saltare tutto. Molta gente passò le notti successive nei campi, dormendo all’aperto, per paura.
Quando i Tedeschi si arresero, due di loro furono incaricati di disinnescare le mine. Lo fecero muovendosi in barca sull’acqua del Naviglio. Erano d’origine cecoslovacca. Non furono consegnati agli Americani, risparmiando loro la prigionia. Alla fine di aprile furono dotati di un salvacondotto dal Comitato di Liberazione, firmato da Ambrogio Caffulli e lasciati partire per il loro paese.

07 Palazzo Marino

I Tedeschi del maggiore Angstmann hanno concentrato nell’area del Palazzo il loro parco-automezzi, costruendo delle garitte per le sentinelle ad ogni strada d’accesso: da via Gozzadini, da via Marconi e dalle campagne ad est e a nord. Tra il 25 e il 26 aprile hanno lasciato tutto per trincerarsi nell’area del Municipio

08 Cascina Barera

Alfredo Pizzoni, dirigente del Credito Italiano, era il ricercato numero uno da parte delle forze tedesche e fasciste. Dall’inizio della Resistenza era a capo del movimento partigiano come presidente del CLNAI, Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia e trattava con gli Alleati i finanziamenti necessari per rifornire di armi e viveri i gruppi combattenti. Viveva in clandestinità, usando documenti falsi e utilizzando appartamenti di amici e parenti che lo ospitavano a loro rischio. Uno di questi luoghi era la Cascina Barera, condotta dal fittabile Paolo Medaglia, suo cugino. Pizzoni raggiungeva la Barera arrivando da Milano in bicicletta e qualche volta col tram che fermava alla Bettolina; qui passava il Naviglio sulla barca gestita dai Lavezzi, osti della Bettolina. Non fu mai scoperto.

09 Molinetto di San Vito

Il 7 agosto 1944, lungo la strada che collega San Vito alla Cascina Molinetto viene ucciso a colpi di pistola un sergente delle SS Italiane, Giovanni Grandi, che si trova a Gaggiano in convalescenza ed è stato messo alla testa di un servizio di sorveglianza delle campagne. Gli autori appartengono a un gruppo non legato alla Resistenza che opera rapine nell’area a nord del Naviglio. Ne fanno parte anche giovani del posto, costretti alla macchia per non arruolarsi nelle Brigate Nere. L’azione è decisa da uno sconosciuto appartenente alla banda, noto col nome di battaglia di Paulin Pavia, fortemente politicizzato e di cui si perderanno le tracce a guerra finita.

10 Vigano, piazza San Brunone

Qui abitavano Mario Bosatra e i suoi figli, tre maschi e una femmina. Il primo, Michele, era finito in prigionia dopo l’8 settembre; il secondo, Giuseppe, era in età per arruolarsi nel nuovo esercito fascista. Il rifiuto sarebbe costato caro, a lui e alla famiglia: era prevista la fucilazione sul posto. Giuseppe detto Peppino sparisce da un giorno all’altro. Ha letto sul giornale che sulle montagne ci sono i banditi. Vende l’orologio per pagarsi il viaggio in treno fino a Biella: da lì sale in montagna e trova i partigiani. Resterà con loro per tutto l’autunno e l’inverno del ’44 fra combattimenti, ritirate, fame e gelo. Tornerà a Vigano il 1º maggio del 1945 col suo mitra in mano.

11 Certosa di Vigano

Animati da vecchi artigiani socialisti come il Candiani falegname, alcuni giovani di Vigano sono pronti a prendere le armi che riescono a trovare nei giorni dell’insurrezione. Creano un posto di blocco sulla strada per Rosate mettendo un albero di traverso. Così fermano un numeroso gruppo di soldati tedeschi pronti a consegnarsi prigionieri. Li mettono nel cortile della Certosa per tutta la notte in attesa di avere qualche ordine su dove portarli. I giovani, tra cui Giuseppe Comi, li sorvegliano imbracciando un fucile. Scarico, perché hanno le armi, ma non le munizioni

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